lunedì 16 ottobre 2017

QUASI DA ADULTI - Poesia Autunnale


Quindi io ti credo
per il modo in cui mi parli
e rido di nascosto
poiché è così bello far con te
discorsi quasi da adulti.


Le parole migliori alla fine
sono quelle che eviti di dire
per tenerle in un luogo sacro
e scolpirle a fatica
sulla corazza che hai creato
per difenderti.

Dal bisbigliarsi segreti dietro ai banchi
al trovarsi a parlare per lontananza
ci sono la necessità di un abbraccio
le lezioni di Kant che non dimentichi
tutte le volte che ci siamo trovati ad essere sempre troppo piccoli.

I sogni di cui ci priviamo
sono troppo grandi ed arroganti
ma sarà comodo trovarli per strada
quando le tasche saranno vuote
i sorrisi spenti
e la rabbia tanta che
non basterà cercare di entrare nel solco
segnato dal sasso
scagliato in acqua
per trovare un obiettivo.

venerdì 6 ottobre 2017

BLADE RUNNER 2049 – Domande e risposte (e nuove domande)



1982. L’Italia vinceva i mondiali e Deckard, il cacciatore di androidi impersonato da Harrison Ford, si innamorava di Rachel, dolce replicante e coprotagonista del primo Blade Runner. Una cosa succedeva nella realtà, l’altra su pellicola. Ma ambedue gli eventi hanno segnato intere generazioni come simboli ineguagliabili di bellezza: le magie di Paolo Rossi e la piovosa Los Angeles del distopico 2020.

Fino a qualche anno fa era impensabile che un capolavoro come il film firmato da Ridley Scott e tratto dal libro “Do Androids Dream of Electric Sheep?” di Philip Dick potesse avere un seguito: quel mondo così diverso dal nostro prossimo futuro era talmente intoccabile e perfetto che ampliarlo lo avrebbe forse rovinato.

Però il buon Scott ha sempre mille idee: prende i suoi successi e ci torna più volte (Alien ne è la testimonianza) ma non sempre la magia funziona. Si parla di una presunta resurrezione de Il Gladiatore ma sicuramente qualcuno gli avrà consigliato di mettersi una coperta sulle gambe davanti al camino e godersi un whiskey mentre conta i soldi guadagnati durante la carriera.

Però quando Scott si impunta su una cosa che gli sta a cuore, come l’universo di BR (Blade Runner, non Brigate Rosse), riesce a tirare fuori cose interessanti, o meglio, domande interessanti.

Per i profani del cinema che non hanno mai visto il primo BR: vergogna. Tuttavia potete ancora rimediare, anzi vi invidio un poco poiché avete la possibilità di godervi per la prima volta un mondo diverso, forse un po’ scontato nel 2017, ma che ha ispirato la fantascienza moderna sia visualmente che tecnicamente.

La trama del primo film è presto detta: un Blade Runner (cacciatore di androidi) che si è ritirato dal mestiere si ritrova ad affrontare una nuova, e possibilmente ultima, sfida che consiste nel sopprimere un gruppo di replicanti ribelli.

Prima di creare malintesi: replicanti = umanoidi, creati per sostituire l’uomo nelle attività peggiori, che sono del tutto simili agli umani ma che non hanno un’anima.

Per Deckard, il protagonista, il tutto si complica davanti all’amore, che gli permette di vedere la situazione da un nuovo punto di vista: quello del nemico. Insomma un noir in cui le ombre definiscono i personaggi più della luce; un detective immorale, una dark lady, un cattivo con perfide intenzioni distruttive e una città che avvolge la trama sotto una fitta pioggia infinita. Nel 1982 c’erano le carte in regola per far diventare una novità, un cult per tutti.

Questa era più o meno una premessa: una novità che dura da 35 anni e che era impossibile continuare perché quasi sacra. Un po’ come se decidessero di scrivere una Bibbia 2 in cui Gesù ritorna e fa altro.
Ma gli esploratori, i pionieri del cinema decidono che è ora di ampliare l’alone di perfezione che permea ogni fotogramma del film e si pongono una nuova domanda:

SI PUÒ DAVVERO DECIDERE CHI È NATO PER PROCREARE?

Basta guardarsi intorno per rispondersi: no, non si può decidere, ma la società ha creato dei paletti così ben definiti da seguire lungo l’arco narrativo di ogni giorno che questa libertà di scelta ci pare un ologramma impalpabile. E se con questa domanda avete pensato a tutte le lamentele dei gruppi gay, pensate a quante proteste potrebbero unirsi dei replicanti il cui unico scopo, essendo creati e non nati, è quello di fare mansioni che l’uomo non vuole più fare. Si unirebbero perché i replicanti non possono, per loro natura, riprodursi.

MA,
ed ecco che arriviamo al BR2049, qualcuno ci è riuscito: prima che tutta una generazione di replicanti ritenuti pericolosi venisse sterminata con un genocidio chiamato blackout, una replicante ha dato alla luce un erede.

Il compito dell’agente K (replicante di ultima generazione, interpretato da Ryan Gosling) è di trovarlo e ucciderlo prima che questa notizia si possa diffondere ovunque.

In un primo momento il tema problema del primo film ritorna: SI PUÒ DAVVERO DECIDERE CHI È UMANO?
La risposta è nel finale, quindi no spoiler, per ora.

K – i replicanti hanno dei codici identificativi, non dei nomi – è un blade runner che conduce una vita come tutti gli altri nell’oscura Los Angeles del 2049. I grattacieli sono gli edifici più piccoli ed ogni cosa è pregna di tecnologia.

K vive con la sua compagna ma al contempo vive da solo: Joi, interpretata da Ana de Armas, è un ologramma con cui K ha una relazione completa, escluso il fattore fisico. Lui tiene così tanto a lei che le regala un dispositivo che le permette di uscire di casa e vivere quasi normalmente. La presenza di Joy determina la sopravvivenza di K, rendendola più umana ricordandogli che in fondo la risposta alla domanda del primo film è piuttosto vera. Per questo BR è stato innovativo: anche la fantascienza più distopica è in grado di basarsi sull’amore.
Joi probabilmente è il personaggio a cui sono più affezionato perché nella sua inconsistenza fisica è quell’elemento concreto che permette al protagonista di non rimanere un ente freddo e distaccato dai sentimenti così che possa evolversi, seguire il suo arco evolutivo.
Inoltre c’è una cosa di Joi che sarà determinante nel terzo atto. Ma non la rivelerò. Andate a cinema per scoprirla.

Il cattivo è Jared Leto, bravo bravissimo, bis. Ha addirittura recitato senza vedere nulla a causa delle lenti a contatto usate sul set per rendere il suo personaggio più umanoide.
Lui è Wallace, ricchissimo magnate che ha acquistato la Tyrell (azienda antagonista del primo film) continuando la ricerca nel miglioramento della produzione di androidi per perfidi usi personali. Lui e il suo braccio destro, l’abile Luv, sanno che in giro c’è un erede di un replicante e vogliono catturarlo per studiarlo e capire quale fattore gli abbia permesso di nascere da un essere creato artificialmente.

Ora, se siete abbastanza svegli e avete fatto due più due già alla fine della prima pellicola, avete la riposta a chi sono i due genitori del ricercato.

Harrison Ford ritorna quando la risposta è ormai prossima e deve essere solo confermata.
In sala, durante la sua prima scena per un istante ho pensato: “Hey, è Han Solo!”. Invece era Deckard che, dal blackout che ha ucciso la sua dolce Rachel, si è nascosto in una zona deserta della città. Il suo arrivo all’inizio del secondo tempo è il catalizzatore di una storia che, altrimenti, sarebbe morta in dieci minuti.

Picchiarsi a ritmo di Frank Sinatra e di Elvis è un’esperienza che potrebbe sembrare trash, ma gestita come sa fare Denis Villeneuve (ormai affermatissimo regista canadese – avete presente Arrival e Prisoners?) risulta come un’incantevole scontro tra due pugili che combattono insieme e contro allo stesso tempo.

Come i manuali di sceneggiatura spiegano: il personaggio è descritto dalle sue azioni, in particolar modo quelle che lo spingono verso il confine più estremo (la sconfitta o la morte). Questo film è principalmente basato su questa affermazione, basti vedere la prima scena e la prima svolta narrativa.

Direi che la trama è stata abbastanza delineata senza dichiarare troppe anticipazioni nocive alla visione. È meglio parlare un poco, poiché ne so molto poco, dello stile del film.

Villeneuve è stato molto chiaro sin dai primi esperimenti di visualizzazione del film; deve aver detto una cosa tipo: io sono canadese quindi ci sarà un sacco di neve in questo film.
La neve c’è ed è parecchio metaforica. Ma ci sono anche piani lunghi smarmellati di zafferano che contrastano la desolazione del nascondiglio di Deckard dalla buia e fredda palette destinata alla città.
Esiste un codice per ogni scelta cromatica e, per evitare spoiler, dirò solo che cambia a seconda o del luogo o del personaggio di cui si parla. E se apparentemente il cattivo e Deckard non centrano nulla l’un con l’altro, il fatto che abbiano dedicato loro la stessa tavolozza cromatica un motivo ci sarà.
Ops. Ho parlato troppo. Ma confido nella vostra curiosità nel cercare una risposta anche a questo.

Quando uscirete dalla sala avrete risposto sicuramente alla domanda iniziale, ma nel frattempo ve ne sarete chieste altre cento. 

Per questo, temo, ce ne saranno altri di BR. Temo perché se si segue la scia di Alien, tra prequel e sequel si rischia di rovinare un universo narrativo che finora è perfetto.

Quindi, Mr. Scott, scelga bene che si soldi ne ha in abbondanza.
Questa volta ha scelto bene, la prossima faccia altrettanto.
Grazie.

E non litighi più con Harrison Ford sulla questione Deckard-è-un-replicante-o-no perché si è capito abbondantemente cosa realmente è.
Si ricordi che tra i due replicanti il terzo…

RIDE - Qualcosa di nuovo sotto il sole (e menomale)

Da due anni a questa parte si parla di rinascita del cinema italiano. Smetto quando voglio, Jeeg Robot, Veloce come il vento, Brutti e...