Come mi hanno dato mezza giornata
di lavoro libera, non ci ho pensato su due volte e mi son detto: vado al cinema.
Per tutta l’estate le sale non hanno presentato pellicole di qualità (d’altronde
da giugno ad agosto le sale sono quasi vuote) ma sapevo che ci sarebbe stato un
giorno in cui la noia cinematografica di questi mesi sarebbe inesorabilmente
fallita. Questo fallimento è dovuto al fatto che, finalmente, dopo tanta,
troppa e strabordante pubblicità, è uscito Dunkirk,
il nuovo film firmato Christopher Nolan.
Nolan ha firmato uno dei film che
rientra nella mia personale classifica delle migliori pellicole che si possano
vedere, e il film di cui sto parlando è The
Prestige (tratto da un bellissimo romanzo Di C. Priest). Questo signore che
sembra avere eternamente tra i 35 e i 40 anni è uno degli autori più in voga e
sicuramente, tra questi, uno dei più particolari. Lui non prende solo delle storie e le
spedisce al cinema, ma le sceglie, le capisce, le studia, le capisce ancora
meglio finchè non ha abbastanza sicurezza da poter estrarre una pozione magica
che fa rimanere incollati alla poltrona per due ore filate.
Dunkirk fa tutto questo, ma lo fa
in modo diverso rispetto ad Inception, Memento o la triologia del Cavaliere
Oscuro. Dunkirk (sarà perché è una storia accaduta realmente) ti porta NEL
film.
Sono tre i fattori che permettono questo miracolo:
1) Nolan non
introduce la storia: la vive. La fa vivere senza presentare niente e nessuno (a
parte la scena dei volantini). Ci basta sapere dove sia e cosa sta accadendo,
ma i personaggi non vengono spiegati e tocca a noi capirli.
Per raggrupparli,
bastano tre aggettivi: inglesi, francesi e tedeschi. I tedeschi hanno
intrappolato sulla baia di Dunkirk i francesi e gli inglesi che, mentre subiscono
attacchi dai nazisti, aspettano che barche guidate da civili oltre la Manica
arrivino a trarli in salvo.
Questo è il primo strato: quello storico, sociale
che inquadra la storia. Lo sguardo interpersonale.
Lo sguardo personale è
quello che Nolan pone sulle persone che interagiscono tra loro per arrivare al
comune scopo di salvarsi la pelle. Il capitano che comanda tutti (un
shakespeariano più che mai Kenneth Branagh); un soldato semplice che conosce un
suo compare misterioso e silenzioso con il quale salva la vita a un moribondo;
un padre con i figli che parte per il canale inglese alla volta della Francia
per ordine di Churchill. Questi sono alcuni esempi, non tutti.
Esempi di
sguardi intrapersonali sono invece il giovane soldato interpretato da Harry
Styles (avevo paura, ma se l’è cavata egregiamente) che è troppo orgoglioso di
servire la patria per ritirarsi e tornare a casa; un aviatore la cui mente è
annebbiata dagli orrori della guerra (Cillian Murphy, sempre più liscio, sempre
più bravo) che si trova tratto in salvo dal padre con i figli; ma il migliore, colui
per cui è obbligatorio vedere il film, è l’aviatore interpretato dal Tom Hardy
che recita solo con gli occhi per due ore e passa. Nolan ama mettergli maschere
in faccia (ricordate Bane?) perché sa che altrimenti sarebbe tutto troppo
facile per lui. Seduto nella sua cabina, intento a sparare agli aerei tedeschi,
Hardy muove soltanto le iridi. Da vedere. Da vedere anche il comportamento
eroico e stanco del suo personaggio nel finale.
Quindi: tre modi di guardare la storia, per viverla e per incantarci.
2)
Le immagini. Spielberg aveva insegnato a fare vere
scene di guerra con Salvate il soldato
Ryan, Nolan non impara. Inventa, invece. Sceglie di non mettere sangue in
CGI, fati esplodere veri ordigni e di ridurre gli effetti digitali al minimo. Con
il tipo di supporto usato per girare (camere IMAX su 70mm, praticamente la
risoluzione più alta) si è potuto permettere una fotografia alquanto perfetta. Ma
di ciò non son pratico, quindi:
3)
Il suono. Per tutto il tempo della battaglia abbiamo
la sensazione che il tempo sfugga e ogni attimo può rivelarsi letale. C’è un
orologio che ticchetta fino all’inizio del terzo atto, un particolare che si fa
sentire nei momenti più critici e si nasconde in quelli caotici. Le esplosioni,
gli spari, i rumori provocati dai movimenti delle onde o degli aerei sono a
tratti spaventosamente reali. Questi fattori sono un buon 45% dell’esperienza Dunkirk, se ben assestati in sala. Salterete dalle poltrone perché siete
lì, in Francia, non in una sala.
Quindi la mezza giornata libera non
è andata sprecata. Il film nuovo di Nolan è un mattone che schiaccia per due
ore piene, toglie il fiato e a tratti anche l’udito. Se prima il vecchio Chris
mi garbava e basta, ora mi entusiasma e mi ispira.
Dunkirk a tratti supera il film per andare verso una vera e propria
esperienza.
Ma, come ha detto una mia amica di
scuola, non so se lo rivedrei. Almeno, non lo rivedrei nei prossimi sei mesi. Deve
decantare, lì, in un angolo della mia stanza interna dell’ispirazione, perché si
sa mai che possa innescare qualcosa.
E ora, per concludere, una breve
storia triste:
ero in sala, nel pomeriggio torrido di una Milano di inizio settembre, e la
cassiera stacca solo biglietti limitrofi al mio posto quando tre quarti di
platea sono vuoti. Amen.
Alla mia sinistra un sessantenne, alla mia destra due
quattordicenni. Dico addio alla mia idea di svaccarmi come un imperatore romano
su più posti mentre il film inizia. Come sullo schermo appare Harry Styles, le
due ragazzine accanto tirano fuori il telefono e scattano foto allo schermo. Seguono
risatine. Questo è accaduto ogni volta, nell’arco del primo tempo, che l’ex
onedirection appariva sullo schermo.
Certe persone dovrebbero andare in giro
con un cartello: “Io non posso entrare al cinema”.
Va bene che hanno solo quattordici
anni, ma a tutti c’è un limite. Spero solo che abbiano avuto un paio di infarti
allo scoppio delle bombe.
Pace, amore e Nolan per tutti.