venerdì 30 marzo 2018

READY PLAYER ONE - Giocare col cinema

La prima cosa che ho pensato è stata "Madonna santa. Che figata".
Poi l'hype è salito e sono uscito dal cinema saltellando come un bimbo felice.
Ready Player One fa strani effetti sulla gente. O almeno su di me.

Il punto è che, come dice un mio compagno di classe (lo stesso profeta che aveva dichiarato che Lara Croft senza tette non è Lara Croft e che ci ha azzeccato ancora): Steven is back.
Lo dico con entusiasmo ma anche con il timore che dopo questo super blockbuster Spielberg possa adagiarsi sugli allori e fare qualche film mediocre (tipo gli ultimi, che sono mediocri per gli standard suoi, mica per quelli mondiali) e ritirarsi sul suo yacht nei pressi di Capri.
 
Ho deciso di vedere Ready Player One nel giorno d'uscita perché ero troppo curioso.
Chi è curioso si sa, va all'inferno. Ma io credo di essere andato nell'Oasis che è anche meglio.
Tralasciando la scorbutica signorina alla biglietteria (un ottimo guardiano della prima soglia, per chi ha masticato il manuale di scrittura di Vogler) direi che la scelta è stata azzeccata e, ripeto, soddisfacente.
Quello che ho visto fare dal vecchio Steve è stato giocare col cinema.
Giocare perché la base del film è un videogioco, col cinema perché... beh ragazzi sempre di Spielberg si parla.
Immaginate quindi di prendere il bambino che è in voi, aumentate la dose nerd che vi abita - ne basta poca, guardate me - ed entrate in un futuro distopico.

Alla ricerca dell'easter egg

Anno 2045. Dopo disastri di vario genere il mondo è un cumulo di macerie tecnologiche in cui la gente passa il tempo in una realtà virtuale camuffata da videogioco per guadagnare e portare a casa la pagnotta.
La penna geniale di Ernest Cline (autore del romanzo - che non ho letto - su cui è basato il film) è musa per il regista di E.T., che spreme la migliore CGI possibile per portare lo spettatore in un ibrido di avatar e persone.
Il viaggio dell'eroe è quello di Wade aka Parzival (Tye Sheridan), che cerca di trovare l'easter egg nascosto nell'Oasis (il videogioco in VR di cui parlavo poco fa), in concorrenza al resto della popolazione.
Ottenere l'oggetto desiderato è come arrivare alla fine del viaggio nella fabbrica di Willy Wonka: assurdo, avvincente ma soprattutto permette di ereditare il controllo del giocone.
Tre chiavi da trovare, tre prove. Una sorta di Torneo Tremaghi che più che Tremaghi diventa Multiplayer.
Certo, i veri nerd si saranno bagnati le mutande solo a pensarlo, ma la goduria è garantita a tutti.

Ad accompagnare Wade (orfano e senza amici, ma con il piglio giusto per diventare un proto Han Solo nel terzo atto) ci sono Aech, Art3mis e i ninja Daito e Shoto. Oltre alla montagna di elementi della cultura pop, dagli anni 80 ad oggi, che è tanto di moda quanto un appiglio per Spielberg (che ne ha creato una parte).
Come Master del gioco, il creatore James Halliday (in pieno stile Steve Jobs. Quindi incompreso, visionario ma soprattutto morto) interpretato da Mark Rylence con tanta leggerezza da volergli bene.
Il controller nemico è invece nelle mani di Mr.Sorrento (più italiano di così non si può), magnate del futuro con malvagi piani per appropriarsi dell'egg e monopolizzare il gioco, quindi dell'economia, quindi della gente.

Tre cose tre

Le cose geniali da sottolineare sono tre: la prima è la continua ricorrenza al cinema classico nelle piccole citazioni (probabilmente tratte dal romanzo) che Spielberg adatta e adagia con rispetto nella trama. Parlo principalmente di Shining e di Citizen Kane, uno visuale, l'altro in sottotesto, che mi hanno fatto sorridere ed esclamare "Allora Welles è servito anche a questo!".
La seconda è l'idea di controllo del film (che per chi scrive è la base di tutto. In breve, è il punto in cui la storia ritorna in ogni scena, il messaggio velato del film). Tra avatar e realtà ci sta in mezzo uno schermo. E chi sta da una parte, quasi mai corrisponde a chi è dall'altra. 
Un'idea attuale, profonda, scomoda per il futuro.
Perché tutti abbiamo un'imperfezione da nascondere agli altri (chi un dramma famigliare, chi un'età che lo sminuirebbe, chi un'identità che non lo rappresenta, chi una voglia sul volto) e non c'è miglior modo di eliminarla se non con una maschera.
La terza è Stand on It di Springsteen. Sono un devoto del Boss. Ho ballato sul posto quando è partita.

La domanda alla fine è: vivreste nell'Oasis?
Mentre pensate alla risposta, fateci un giro nella demo.
Dura 140 minuti, ma volano via.
Sarà come tornare indietro guardando in avanti.
Sarà come capire quanto noi ci fingiamo un profilo online e viceversa.
Farà paura ma ne vale la pena.
Parola di Spielberg.


​- La realtà è l'unica cosa reale -




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